Nel novembre 1998 le autorità nicaraguensi iniziarono a
costruire Nueva Vida per accogliere gli sfollati della costa del lago di
Managua.
Le torrenziali piogge portate dall’uragano Mitch avevano
provocato l’innalzamento del lago di vari metri e le case di coloro che vivevano
sulla riva furono portate via dall’acqua.
Come sempre in queste
situazioni la solidarietà internazionale non tardò ad arrivare; milioni e
milioni si riversarono nelle casse di istituzioni, associazioni e ONG per
soccorrere la popolazione danneggiata.
Cosicché gli sfollati, con i loro
fagotti e le poche cose che avevano potuto salvare dalla furia dell’acqua,
furono riubicati a Nueva Vida.
In quei giorni non smettevano di
passare camion pieni di gente; dalla mattina alla sera; e dalla sera alla
mattina.
Fiumi di gente.
Io non c’ero e non potrò mai capirlo fino in
fondo, però ho visto delle foto e ho ascoltato tanti racconti… arrivavano a
valanghe, i camion li scaricavano, assegnavano a ciascuno uno
spazio e da lì in avanti dovevano arrangiarsi.
Ovviamente le
autorità provvedevano a garantire viveri, medicinali, ecc.
Però
la realtà é sempre più complicata di quello che i piani delle emergenze
umanitarie riescono a prevedere.
Innanzitutto nei campi dove oggi
sorge Nueva Vida non c’era acqua.
É l’ironia della Natura, l’acqua che
aveva appena causato la rovina di tante persone mancava.
Bisognava camminare
un po’ per andarla a recuperare e nel tragitto era alto il rischio di essere
assaltati da sciacalli che Dio solo sa come potessero approfittare di una
situazione simile.
Lo stesso per il cibo; a ciascuno era assegnata
una razione, però non te lo portavano a casa, e nessuno vigilava affinché nel
tragitto non si verificassero “problemi”…
Le persone che avevano
perso tutto si arrangiavano come potevano: teli di plastica, pezzi di legno
mezzo marcio, pezzi di lamiera, lattine… tutto ciò si trasformava
magicamente in case.
La costruzione delle case vere iniziò rapidamente,
però è un “rapidamente” per i tempi di chi organizza e realizza il lavoro.
Per chi lo deve aspettare mi immagino che siano state notti lunghe e giorni
interminabili.
Andare a cercare cibo e acqua, medicine per i bambini,
vestiti, teli per coprirsi… la verità è che è al di là della mia
immaginazione, deve essere stato terribile.
Le notti fredde, in mezzo a
gente estranea, in mezzo al marasma generale, con un occhio aperto per vigilare
sui pochi preziosissimi averi.
Sì, preziosissimi, perché quando non si ha
nulla anche solo un bottone è qualcosa, e a qualcosa può servire.
Il
suolo stanco dei campi di cotone cedette il posto alle piccole case. Piano piano
è nata Nueva Vida, da questa ferita profonda nel petto di povera gente che aveva
poco e si è ritrovata con meno.
Tanti amici sconosciuti hanno aiutato
queste persone, parecchi continuano a farlo, però i più già iniziano a
dimenticarsi, trascinati dai media verso altre esotiche tragedie.
Intanto Nueva Vida continua a vivere la sua quotidiana tragedia della
fame, della violenza e della morte, trascinandosi una sanguinosa ferita che
stenta a rimarginarsi.
Una delle tante tragedie che ogni giorno si consumano
in Nicaragua e nel mondo senza che i più se ne accorgano.
Oggi è
sicuramente molto diverso da quei primi drammatici giorni, nondimeno rimane
una situazione d’emergenza. Ovviamente i politici non lo ammetterebbero mai
perché le implicazioni del termine “emergenza” li obbligherebbero ad affrontare
il problema seriamente, molto più di quello che stanno facendo.
Preferiscono
pensare di aver compiuto con la loro missione di restituire una casa e una vita
a quella gente. Ma la triste verità è che l’emergenza cresce e si aggrava
sempre più: un terzo dei bambini denutriti; condizioni igienico-sanitarie
pericolosissime; analfabetismo sopra il 40%; indici di violenza sociale e
familiare che fanno rabbrividire; disgregazione familiare sopra il 60%;
disoccupazione e sottoccupazione che arrivano probabilmente al 50%.
Mi
sento un po’ a disagio a darvi queste informazioni perché non posso indicare le
fonti. Non ci sono fonti di informazione, nessuno ha voglia di ricercare
seriamente perché sa che si troverebbe di fronte a una situazione molto
difficile.
È più facile far finta di niente e non ascoltare il grido
disperato di chi sta morendo di fame e di stenti.
Non possiamo salvare
tutto il mondo, ne sono cosciente, però sono qui e non posso fare a meno di
vedere la fame negli occhi dei bambini che mi circondano, il vuoto negli occhi
dei giovani che hanno rinunciato a sperare (perché è duro farlo quando non ci
sono soluzioni), l’affanno negli occhi delle madri che vanno a caccia di cibo,
per lo meno quello per riempire lo stomaco dei loro numerosi figli quella
sera…
Sono qui, vedo tutte queste cose e non posso fare a meno di
pensare che dei tanti soldi destinati alla cooperazione internazionale, la
maggior parte vengono utilizzati per fare una guerra che serve a pochi e
danneggia ai più, una guerra ingiusta e penosa.
Sono qui e non posso
fare a meno di pensare che adesso altre acque hanno sommerso altre persone; una
catastrofe immane, più fresca e più appetitosa per i media, anche perché la
morte di tanti turisti europei e nordamericani ci ha colpito in modo più
diretto.
Si stanno muovendo aiuti che purtroppo non ricostruiranno la
vita di quelle persone, perché queste tragedie causano ferite molto
profonde.
Probabilmente ci saremo dimenticati di loro fra cinque anni,
quando i media parleranno di altre catastrofi ma loro saranno ancora lì a
soffrire.
Forse non sarete d’accordo, ma io credo che siano molto più
gravi le piccole tragedie quotidiane che vivono miliardi di persone che le (pur
sempre gravi) grandi tragedie che provocano migliaia di morti in pochi minuti.
La lotta alla povertà e all’emarginazione che vivono i bambini di Nueva
Vida è una sfida molto più onerosa della ricostruzione dei pozzi di petrolio in
Iraq e dei grandi complessi turistici delle Maldive.
Una sfida che i
mezzi di comunicazione preferiscono dimenticare in fretta.
Obiettore di coscienza in
Servizio Civile in Nicaragua
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